venerdì 29 novembre 2019

La Sla NON ci deve fermare!


Presidente Viva La Vita     Irma Ibba  
Vice presidente                  Michele Riontino 
Direttivo                              Gabriele Lai

sabato 23 novembre 2019

PIANO per la NON AUTOSUFFICIENZA 2019-21




PIANO per la NON AUTOSUFFICIENZA 2019-21 

Il contesto generale 
Gli interventi a valere sulle risorse del Fondo per le non autosufficienze vanno inquadrati nel sistema più ampio delle politiche in favore delle persone con disabilità. Nei termini più generali possibili, facendo riferimento alla classificazione della spesa di Eurostat, le prestazioni sociali associabili alla funzione «disabilità» ammontano a oltre 28 miliardi di euro (figura in alto a sinistra), pari a circa il 6% del totale delle prestazioni sociali e all’1,7% del PIL (leggermente inferiore alla media europea del 2%, ultimo anno di rilevazione il 2016). Si tratta di un complesso di interventi – peraltro cresciuti di circa un quarto nel decennio considerato – soprattutto di natura monetaria (per oltre il 93%), che riguardano una platea molto ampia di beneficiari, legati ad una condizione di disabilità ma non necessariamente di «non autosufficienza». Emerge quindi immediatamente, a fronte di tali evidenze, il ruolo quantitativamente circoscritto del Fondo per le non autosufficienze, che nel 2019, al suo massimo storico (cfr. oltre) vale il 2% del totale delle prestazioni sociali erogate nell’ambito della disabilità. Anche restringendo l’ambito di riferimento a diritti e prestazioni più specificamente associate ad una condizione di non autosufficienza intesa come mancanza di autonomia, non può non evidenziarsi quanto circoscritto sia l’ambito di intervento del Fondo. Si prenda, ad esempio, l’indennità di accompagnamento, rivolta a coloro che «si trovano nell'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un'assistenza continua» (art 1, l. 18/80). I titolari di indennità di accompagnamento o di altre indennità per invalidi civili sono nel 2019 quasi 2,2 milioni (figura in basso a sinistra), un numero – come si vedrà più avanti – molto al di là delle disponibilità del Fondo. Si noti la dinamica fortemente crescente del decennio scorso (con un tasso di crescita annuo di più del 7% in media tra il 2003 e il 2010), sostituita da andamenti recenti più moderati ma pur sempre di segno positivo; peraltro, se osserviamo le indennità liquidate nell’anno dall’INPS (scala di destra nel grafico) nel 2018 si è comunque tornati ai livelli di massimo storico (430 mila nuove indennità). In generale, si tratta quindi di platee molto più ampie di quelle raggiungibili dal Fondo. Né può essere un riferimento la situazione di handicap grave ai sensi della legge 104/92 (art. 3, co. 3), relativa a coloro per i quali «la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione»: in proposito non si hanno riferimenti numerici precisi, non esistendo una banca dati nazionale antecedente la riforma dell’accertamento del 2010 (che pone il riconoscimento finale in capo ad INPS). Comunque, contando solo i nuovi accertati (non deceduti) a seguito della riforma, in meno di un decennio si tratta di oltre 2 milioni di persone. Infine, da un punto di vista statistico, l’Istat ha individuato nell’ambito dell’indagine sulle condizioni di salute del 2013 le «persone con limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi»: tra queste – pari a circa un quarto della popolazione italiana – le persone con limitazioni funzionali gravi (cioè con almeno una limitazione tra: confinamento; difficoltà nel movimento; difficoltà nelle attività della vita quotidiana; difficoltà nella vista, udito, parola) sono circa 3 milioni.
Il Fondo per le non autosufficienze: una partenza lenta 
Il Fondo per le non autosufficienze (FNA) va inquadrato nel contesto generale, non solo dal punto di vista delle risorse e dei beneficiari – come appena descritto – ma anche dal punto di vista istituzionale e, più precisamente delle competenze in materia che residuano in capo allo Stato a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, competenze da identificarsi nella definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. L’FNA è, infatti, un Fondo relativamente giovane – istituito con la legge finanziaria per il 2007 (art. 1, co. 1264, l. 296/2006) – che trova la sua ragion d’essere proprio nel «fine di garantire l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale con riguardo alle persone non autosufficienti». Per quanto l’impegno finanziario da principio non fosse adeguato (cfr. oltre), si trattava comunque di un importante atto simbolico in un contesto nazionale e internazionale in cui le tematiche legate alla long-term care – soprattutto a fronte di un incipiente invecchiamento della popolazione – entravano prepotentemente nell’agenda dei governi dei diversi paesi europei e non solo (oltre a varie iniziative legislative nazionali, diversi gli studi e le proposte in sede UE e OCSE). In Italia, in particolare, non può non menzionarsi la presentazione nel 2006 di una proposta di legge di iniziativa popolare che faceva seguito ad una imponente raccolta di firme (oltre mezzo milione) da parte dei maggiori sindacati dei pensionati. E’ su quest’onda di attenzione che veniva istituito l’FNA, al quale si accompagnava un disegno di legge delega (collegato alla legge finanziaria dell’anno successivo) per la riforma organica del settore, delega però non accordata a causa dell’anticipata chiusura della legislatura. Ma al di là delle vicissitudini del Governo che lo aveva voluto, il Fondo, sin dalla nascita, non presentava le caratteristiche necessarie alla definizione di livelli essenziali delle prestazioni, per cui era stato istituito. All’origine, infatti, si è trattato di risorse modeste nell’ammontare (100 milioni nel 2007 e 200 nel biennio successivo, poi incrementati a 300 e 400 milioni con la finanziaria per il 2008; cfr. figura), ma soprattutto dall’orizzonte temporale al più triennale, e quindi tecnicamente inadeguate a finanziare livelli essenziali: questi, infatti, anche se limitati dalle risorse del Fondo, costituiscono diritti soggettivi, che per loro natura sono duraturi nel tempo e necessitano quindi di coperture strutturali. Il Fondo, invece, al volgere del decennio, in un quadro di finanza pubblica deteriorato per gli effetti della crisi economica e finanziaria, è stato sostanzialmente azzerato nel biennio 2011-12 (i 100 milioni del 2011 furono recuperati in corso d’anno e destinati a coprire una singola patologia, la SLA) per poi ricevere nel biennio 2013-14 finanziamenti annuali, utili a tamponare i bisogni rappresentati dai territori – istituzioni, parti sociali, associazioni, famiglie – ma non certo a modificare strutturalmente il debole sistema degli interventi e dei servizi locali. E’ solo con il 2015 (e inizialmente per soli 250 dei 400 milioni di dotazione) che si avvia il percorso di stabilizzazione delle risorse. Ma di questo si parlerà dopo. Per il momento, questo breve excursus storico evidenzia il lungo «apprendistato» dell’FNA che, quindi, per quasi un decennio non ha avuto i requisiti minimi per svolgere i compiti per cui era stato istituito, né ha trovato una sua identità nel più ampio quadro delle politiche per le persone non autosufficienti. Ne è derivato un utilizzo territoriale delle risorse che non ha potuto che riprodurre le caratteristiche del nostro sistema di welfare locale, non certo orientato a garantire omogeneità e organicità delle prestazioni.
La non autosufficienza nel sistema di welfare locale 
È importante, quindi, inquadrare il Fondo per le non autosufficienze anche nell’ambito della spesa sociale territoriale per coglierne appieno il ruolo svolto negli anni e le prospettive future. I fondi sociali nazionali* non esauriscono la spesa sociale territoriale, costituendone anzi una quota minoritaria. Considerando tutta la spesa sociale dei Comuni, secondo l’Istat nel 2016 (ultimo anno disponibile) si è trattato di 5,901 miliardi di euro, circa 150 milioni in più che l’anno precedente (+3%)**. Tenuto conto che, sempre nel 2016, i fondi trasferiti alle Regioni sono stati complessivamente pari a circa 680 milioni di euro, si può affermare che il loro contributo alla spesa complessiva è stato di poco superiore all’11%. La metà delle risorse complessivamente destinate alla spesa sociale da parte dei Comuni è riferibile all’area disabilità e anziani (in quest’ultimo caso, in gran parte, non autosufficienti): su tale componente di spesa, l’FNA ha un peso leggermente maggiore (il 13,5%) rispetto alla spesa sociale complessiva. Ma il carattere più sorprendente della spesa sociale è la sua sperequazione territoriale: si va da 21 euro pro-capite della Calabria ai 342 della Provincia Autonoma di Bolzano. A fronte di una spesa media procapite nazionale di poco meno di 100 euro, nel Nord si spendono più di 120 euro e nel Mezzogiorno poco più della metà. Nell’area disabilità e anziani, a fronte di 50 euro di media nazionale, si va dai 10 euro procapite della Calabria ai 170 della Val d’Aosta e di Bolzano. E la sperequazione è ancora più accentuata se si osservano i dati a livello infra-regionale e cioè di Ambito territoriale, la realtà associativa di comuni responsabile della programmazione sociale (cfr. pagina seguente). Dati i punti partenza delle Regioni – estremamente diversi tra loro – le risorse del Fondo per la non autosufficienza non hanno potuto che essere utilizzate a rafforzare interventi già esistenti, a coprire situazioni emergenziali o a finanziare iniziative meritevoli, ma non continuative. L’esigenza di un rafforzamento generale e di garanzia di un livello uniforme di servizi sul territorio è pertanto evidente. *Oltre all’FNA, i fondi più grandi sono il Fondo per le politiche sociali e il Fondo povertà, distribuito la prima volta nel 2018 in concomitanza con l’istituzione del REI; nell’ambito della disabilità, seppure di entità decisamente inferiore, vanno ricordati il Fondo per il «Dopo di noi» – erogato la prima volta nel 2017 – e quello per i caregiver familiari – da erogarsi per la prima volta nel 2019. ** L’Istat include nella spesa sociale anche la spesa per asili nido e servizi integrativi per la prima infanzia, al nostro fine espunti dal totale in quanto ai sensi del d. lgs. n. 65 del 2017  sono transitati a pieno – ed esclusivo – titolo nel «sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita ai sei anni». Inoltre, con riferimento alla PA di Bolzano, l’Istat evidenzia dal 2013 «uno spostamento di circa 80 milioni di euro dalla spesa a carico del SSN alla spesa a carico del settore socio-assistenziale» dovuto a una diversa modalità di definizione delle rette per residenze sociosanitarie per anziani; anche questo ammontare è stato espunto (in ragione di 80 milioni di euro per ciascun anno considerato) per ragioni di comparabilità con le altre regioni. Infine, con riferimento alla PA di Trento, la spesa è sottostimata in quanto le spese per le strutture residenziali per minori sono dal 2013 direttamente a carico della PA.
La distribuzione territoriale della spesa per la non autosufficienza: gli ambiti territoriali 

In un quarto degli Ambiti territoriali italiani si spende meno di 25 euro pro-capite nell’area disabilità e anziani, cioè meno di metà della media nazionale. Sono soprattutto ambiti di regioni del Mezzogiorno, per il quale l’incidenza è quasi doppia rispetto a quella nazionale (più precisamente del 44%, mentre gli ambiti del Nord in questo intervallo di spesa sono solo 6 su 271, il 2%). In 37 ambiti la spesa pro-capite è inferiore a 10 euro: tutti del Sud tranne uno del Centro, e per oltre metà calabresi Poco meno della metà degli Ambiti italiani (in totale l’Istat ne rileva 646, 300 quelli in questo intervallo) spende tra 25 euro pro-capite e 50 – che costituisce anche la media nazionale – per interventi e servizi sociali nell’area disabilità e anziani. In questa fascia vi sono ambiti di tutte le regioni d’Italia, tranne delle quattro in cui in tutti gli Ambiti la spesa è superiore: le due Province autonome, il FVG, la Sardegna. Fatta eccezione per quest’ultima, nel Mezzogiorno il 97% degli ambiti ha spesa inferiore alla media nazionale. In un quinto degli Ambiti nazionali si spende pro-capite, per l’area disabili e anziani, tra 50 e 100 euro – cioè tra la media nazionale e il suo doppio. In tutti gli ambiti della Sardegna e della PA di Bolzano si spende di più (FVG e Valle d’Aosta tutti tranne uno). In tutti quelli del Mezzogiorno si spende di meno, ad eccezione, oltre che degli Ambiti della Sardegna, di 8 Ambiti, di cui i 7 in questa fascia collocati in Abruzzo e Sicilia. Nel 10% degli ambiti, la spesa per disabili e anziani supera i 100 euro pro-capite. Sono ambiti sostanzialmente delle due Province autonome, del FVG, della Sardegna, della Val d’Aosta. Gli unici ambiti non appartenenti a queste regioni sono il Consorzio di Gattinara (Piemonte), il distretto di Salerno e Campione d’Italia (che fa storia a sé trattandosi di exclave). Oltre alla PA di Bolzano (che costituisce unico distretto) e a Campione, vi sono altri 4 ambiti con spesa superiore a 200 euro pro-capite: Aosta e altri due distretti della Regione, e il distretto di Iglesias.
Il necessario ribaltamento di prospettiva 
Quella appena descritta, nella relazione tra i fondi statali e quelli territoriali (regionali e locali), è una sorta di «additività» al contrario: l’FNA si è aggiunto a quanto esistente (talvolta molto poco) a livello territoriale, quando invece, nella logica dei livelli essenziali, è l’intervento regionale e locale che avrebbe dovuto aggiungersi a quello definito a livello nazionale. Non poteva però essere diversamente, vista l’entità e la discontinuità dei finanziamenti. Non la stessa cosa però può dirsi rispetto al futuro. A decorrere dal 2016, infatti, l’intera dotazione del Fondo per le non
autosufficienze ha assunto carattere strutturale e la stessa, come si è visto, è stata crescente: dai 400 milioni del 2016 ai 450 del biennio 2017-18 fino ai 550 milioni del triennio oggetto di questo Piano. A queste risorse vanno poi sommate quelle derivanti dai risparmi connessi al programma straordinario di verifica della permanenza del possesso dei requisiti sanitari per l’erogazione delle prestazioni dei invalidità civile, condotte da INPS nel periodo 2013-2015, che il legislatore aveva ridestinato all’FNA*. Nella tabella in basso si presentano tali risparmi anche per gli anni a venire (decrescenti nel tempo per via dell’applicazione delle tavole di mortalità; è la parte in rosso negli istogrammi del grafico a pag. 3). Nel complesso nel 2019 il Fondo dispone di 573,2 milioni di euro, il 24% in più che nell’anno precedente e il massimo storico nella sua dotazione. Se confrontiamo questo stanziamento (utilizzando i criteri di riparto 2018) con la spesa sociale territoriale per le aree di utenza disabili e anziani del 2016 (illustrata a pag. 4), osserviamo come non si è più in presenza di risorse marginali per il sistema territoriale dei servizi (cfr. figura a destra**): nella media nazionale si tratta di circa un quinto del totale delle risorse, quota che sale fino ad oltre un quarto nel Mezzogiorno ed è non inferiore a un sesto nel Nord. A livello regionale, oltre alla Calabria per cui la quota del Fondo è nell’ordine di grandezza dell’intera spesa comunale (ma in questo caso sembra esserci una significativa spesa per strutture direttamente sostenuta dalla regione), in tutte le Regioni del Mezzogiorno la quota è superiore al 30% (tranne la Sardegna, in cui scende sotto il 10%); ma anche nel resto d’Italia, solo in altre due regioni si scende sotto il 10%: Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta. Il quadro rappresentato, pertanto, giustifica la necessità di un ribaltamento di prospettiva: gli interventi a valere sulle risorse del Fondo non vanno più intesi come addizionali rispetto a quelli definiti a livello regionale e locale, ma devono costituire il nucleo delle prestazioni rivolte a beneficiari nelle medesime condizioni in tutto il territorio nazionale. In altri termini, i tempi sono maturi perché questo Piano identifichi, come previsto dal legislatore (art. 21, co. 7, d.lgs. 147/2017), «lo sviluppo degli interventi… nell’ottica di una progressione graduale, nei limiti delle risorse disponibili, nel raggiungimento di livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale». * In realtà, i risparmi utili a tal fine sono solo quelli delle visite del 2013 e del 2015, quelle del 2014 essendo state concentrate sulle condizioni dei cd. «rivedibili». In tabella sono indicati anche i risparmi del 2018, già erogati alle regioni in due tranche. ** Le Province Autonome di Trento e Bolzano non sono incluse, non partecipando al riparto dei Fondi nazionali, ai sensi dell’articolo 2, comma 109, della l. 191/2009.

La progressione graduale nel raggiungimento dei livelli essenziali 
Se il punto di arrivo del percorso che si avvia con questo Piano è la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni da assicurare, nei limiti delle risorse del FNA, alle persone «non autosufficienti», il primo passo da intraprendere non può che essere proprio l’identificazione della condizione di «non autosufficienza», atteso che – come si è visto in precedenza – nessuna delle definizioni già esistenti nell’ordinamento può essere considerata utile ai nostri fini. In realtà, pur in assenza della cornice del Piano, si tratta di un percorso già avviato nell’ambito dell’FNA a partire dalla stabilizzazione delle sue risorse, avvenuta come visto sostanzialmente dal 2016. Il decreto di riparto per quell’annualità (D.M. 26 settembre 2016), infatti, può essere considerato il primo documento programmatico nazionale – una sorta di Piano «zero» – che fa propria la dimensione sopravvenuta di strutturalità delle risorse e avvia sperimentalmente un percorso di definizione dei beneficiari degli interventi in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale. Peraltro lo stesso DM, prima che sulla materia intervenisse il legislatore con il d. lgs. 147/2017, individuava (all’articolo 7) nello strumento del Piano nazionale l’ambito ideale per la definizione dei livelli essenziali e considerava a tal fine prioritaria «l’individuazione dei beneficiari, a partire dalla definizione di disabilità gravissima di cui all’articolo 3, nelle more della revisione delle procedure di accertamento della disabilità e con l’obiettivo di adottare una nozione di persone con necessità di sostegno intensivo, differenziato sulla base dell’intensità del sostegno necessario». Il quadro presente, quindi, è quello di una sperimentazione in corso limitata alla sola disabilità gravissima sullo sfondo di un ambizioso obiettivo di individuare i beneficiari sulla base della necessità di un sostegno intensivo: il sentiero tracciato, tuttora attuale, è cioè quello di graduazione degli interventi in relazione alla diversa necessità di sostegno, da intendersi come sostegno offerto da parte di assistenti personali (care-givers). Nel DM 26 settembre 2016 (art. 3, co. 2) per «disabilità gravissima» si è inteso individuare il carico assistenziale indotto da non autosufficienza a partire da alcune specifiche condizioni patologiche (malattie o menomazioni d’organo o apparato) e/o di assistenza strumentale rivolta a funzioni vitali, comunque associate a deficit funzionali misurati con specifiche scale. In altri termini, in assenza di uno strumento univoco nazionale per la misurazione del bisogno assistenziale anche a prescindere dalla patologia o menomazione, sono state identificate condizioni biomediche di gravità tale da permettere di cogliere, anche indirettamente e comunque con il supporto di specifici indicatori, la maggiore onerosità assistenziale non sanitaria richiesta. A titolo di esempio, si tratta di persone con gravissimo stato di demenza o con ritardi mentali gravi e profondi, tali da compromettere lo svolgimento in autonomia delle funzioni essenziali, oppure persone con gravissima – opportunamente qualificata – compromissione motoria da patologia neurologica o muscolare (es. SLA, SMA, sclerosi multipla, Parkinson) oppure persone la cui vita dipende, qualunque sia la grave patologia da cui sono affette, da assistenza continuativa e monitoraggio nelle 24 ore, sette giorni su sette. Le scale a suo tempo selezionate a qualificare la condizione di «gravissimo» stato per le singole patologie (ad esempio, la Clinical Dementia Rating Scale per le demenze, o la scala Medical Research Council per il bilancio muscolare complessivo nel caso di patologie neurodegenerative) hanno le caratteristiche di essere: scientificamente validate, testate, con cut-off credibili; specifiche per le diverse tipologie di patologie/menomazioni considerate; gratuite; disponibili in italiano; semplici e tali da non richiedere tempi lunghi di applicazione. L’elenco completo delle «disabilità gravissime» è riportato nell’allegato 1, che richiama integralmente quanto disposto con l’articolo 3, comma 2, del DM 26 settembre 2016. E’ questo il punto di partenza che resta valido, insieme alle scale e alle modalità attuative di cui al comma 3 del medesimo articolo, anche per il triennio oggetto di questo Piano. Resta da definire nel corso del medesimo periodo uno strumento di valutazione nazionale che prescinda dalla patologia o dalla menomazione che potrà integrarsi a tale elenco in via complementare o sostitutiva a seconda delle evidenze che emergeranno.

I beneficiari degli interventi a valere sul FNA: i disabili gravissimi
Quante sono quindi le persone con «disabilità gravissima» che hanno avuto accesso agli interventi finanziati dal FNA? Ai fini della definizione di questo Piano è stata effettuata una rilevazione straordinaria sui beneficiari degli interventi al 31 dicembre 2018. I dati raccolti vanno però considerati con prudenza in quanto, ai sensi dell’art. 3, co. 4, del DM 26 settembre 2016, le Regioni si impegnavano ad adottare la nuova definizione di disabilità gravissima entro la fine del 2017 e, in alcuni casi, il processo non sembra essersi ancora concluso: l’impressione è che l’implementazione delle nuove definizioni e metodologie sia un processo dinamico che necessiti ancora – perlomeno in alcuni territori – di un certo periodo di tempo per consolidarsi, se non nell’adozione degli strumenti, perlomeno nella raccolta dei dati. Quindi non vi è stata una generale disponibilità di informazioni di dettaglio (ad esempio, a volte è stato fornito solo il dato sul totale degli assistiti e non sulle singole tipologie di disabilità gravissima) e in alcune Regioni i dati non sono aggiornati o, più raramente, non allineati alle definizioni nazionali. Ad ogni modo, solo nel caso della Valle d’Aosta non è stato ancora possibile recuperare dati, mentre nel caso della Basilicata le informazioni rilevate sono decisamente parziali, essendo riferiti ai soli casi di stati vegetativi o di minima coscienza e alle patologie neuromuscolari. Trattandosi di piccole Regioni, comunque, si può affermare che il quadro che emerge, perlomeno negli ordini di grandezza, sia sostanzialmente
esaustivo. I beneficiari di interventi a valere sul FNA in condizione di disabilità gravissima sono meno di 60 mila, pari a quasi 10 persone ogni 10 mila residenti. Per avere un ordine di grandezza, si tratta del 2,7% dei beneficiari dell’indennità di accompagnamento. Quanto alla tipologia di patologia e/o menomazione (dati sull’86% del totale), le forme più diffuse sono quelle della demenza molto grave (più di un quarto dei casi), delle patologie neurodegenerative (un quinto) e del ritardo mentale grave o profondo (un sesto). Da segnalare la frequenza di casi non direttamente identificabili in termini di patologie, ma con condizioni di dipendenza vitale da assistenza e monitoraggio continui (24/7): si tratta di un quarto del totale. 

I disabili gravissimi: la variabilità regionale 
Esaminando il dato nazionale nelle sue articolazioni regionali, sembra emergere una certa eterogeneità territoriale: a livello di macro aree si va dal Centro-Nord, con incidenze intorno all’8 per 10 mila, al Mezzogiorno, appena sopra il 12. Le differenze aumentano a livello regionale, con quattro Regioni intorno al doppio della media nazionale (Umbria, Molise, Sicilia e Sardegna) e una intorno alla metà (Toscana; della non significatività del dato della Basilicata si è già detto). Al di là della prudenza necessaria nell’analisi, vista la non completezza della raccolta dei dati e la non piena comparabilità degli stessi, è comunque una situazione che non deve stupire, anzi: nello scenario corrente, la variabilità a livello regionale è attesa, essendo quelle presentate non incidenze epidemiologiche, ma la dimensione di platee di beneficiari di interventi che, per quanto a valere sulle risorse del FNA, restano nella piena disponibilità regolatoria delle Regioni. Ad esempio, la dimensione delle platee è fortemente condizionata dalle scelte sull’ammontare della prestazione ovvero dalla disponibilità di altri servizi e interventi a valere su risorse regionali; la Regione potrebbe decidere di cofinanziare gli interventi con propri fondi fino magari ad esaurire eventuali liste d’attesa ovvero potrebbe decidere di destinare ai gravissimi una quota maggiore del minimo richiesto (pari a metà di quanto attribuitole in sede di riparto); allo stesso modo, la Regione può inserire le prestazioni FNA nel quadro più generale degli interventi territoriali, limitandone l’accesso a chi non è servito da altre prestazioni a valere sul bilancio regionale; o, ancora, può regolare l’accesso alle prestazioni «a sportello», fino a disponibilità di fondi, o «a bando», decidendo successivamente l’ammontare della prestazione in modo da coprire tutta la platea o viceversa coprendo solo i più bisognosi tra coloro che hanno fatto richiesta. Nella valutazione multidimensionale per l’accesso, poi, le scelte regionali potrebbero anche essere orientate a far rilevare le condizioni economiche, anche se sembrerebbe che con riferimento ai gravissimi l’ISEE sia usato raramente, e comunque con soglie molto elevate e nella versione «socio-sanitaria» (cioè con possibilità di restringere il nucleo fino al solo assistito). Ad ogni modo, ciascuna delle scelte sopra evidenziate comporta esiti diversi in termini di numerosità e composizione della platea di beneficiari. A fronte delle notevoli differenze nella spesa dei sistemi di welfare locali, poc’anzi evidenziate, a sorprendere pertanto è quindi la relativa omogeneità raggiunta – perlomeno nel numero dei beneficiari e tenuto conto che in molti casi si tratta di numeri parziali – in un così breve lasso di tempo. Nell’ottica della definizione di livelli essenziali delle prestazioni e limitandoci per il momento ai gravissimi, resta comunque ancora molto lavoro da fare: innanzitutto, è necessario consolidare gli strumenti per l’identificazione dei beneficiari, con particolare attenzione ai territori in cui il processo appare in ritardo; ma, soprattutto, oggetto di questo Piano deve essere avviare il graduale percorso verso l’uniformità delle prestazioni, indipendentemente dal territorio di residenza.

Gli interventi per la disabilità gravissima: verso un assegno di cura e per l’autonomia 
Il Fondo per le non autosufficienze, sin dalla sua istituzione, ha indirizzato il proprio spazio d’azione verso interventi volti a favorire la domiciliarità. E’ evidente che non sempre la permanenza nella propria casa sia la situazione più appropriata per una persona non autosufficiente, ma va evitato in tutti i modi che il ricovero in strutture residenziali sia una soluzione indesiderata e resa necessaria dalla carenza di un sistema di interventi di assistenza territoriale. Quello che è apparso da
principio prioritario è stato pertanto il rafforzamento del sistema di welfare locale volto a fornire assistenza «a casa», in un contesto generale di promozione dell’integrazione socio-sanitaria. Pertanto gli interventi finanziabili a valere sulle risorse del Fondo sono andati specializzandosi in tre tipologie (le uniche ammissibili dal 2015): assistenza domiciliare diretta; assistenza «indiretta» mediante trasferimenti monetari sostitutivi di servizi o per il care-giver; interventi complementari ai precedenti anche nella forma di ricoveri di sollievo (esclusi comunque i ricoveri a ciclo continuativo non temporaneo). Queste aree di intervento – da ultimo confermate dal DM 26 settembre 2016 (art. 2) come «aree prioritarie di intervento riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni» – sono integralmente richiamate dal presente Piano (allegato 2). Nel percorso verso una maggiore uniformità degli interventi, però, non costituiscono più soltanto il limite del campo d’azione: al loro interno va individuato un primo nucleo di prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale. Proseguendo l’analisi sui soli interventi per i «gravissimi» (sul complesso dei beneficiari si tornerà dopo), cui deve essere destinata almeno la metà delle risorse assegnate a ciascuna Regione, si può notare (figura in alto*) che nel totale nazionale il 90% delle risorse è programmato per essere destinato ad assistenza indiretta nella forma di trasferimenti monetari. In metà delle regioni si tratta della modalità esclusiva di utilizzo delle risorse, mentre nell’altra metà si tratta comunque della modalità prevalente: la quota minima destinata all’assistenza indiretta è infatti di almeno il 60%. Poco più del 6% la quota per l’assistenza diretta e poco più del 3% quella per i ricoveri di sollievo. Inoltre, la tendenza che si osserva è quella di un sempre maggior favore nella programmazione da parte delle Regioni per l’assistenza indiretta: confrontando quanto rendicontato sull’utilizzo dell’annualità FNA 2016 con quanto programmato sulle risorse afferenti al 2018, l’incremento della quota destinata ai trasferimenti è di quasi 10 punti percentuali, a discapito degli interventi di assistenza domiciliare diretta (figura in basso). Non sembrano pertanto possano esserci dubbi su quale debba essere il primo passo verso una prestazione che costituisca un livello essenziale: al di là delle denominazioni e specificazioni regionali, deve trattarsi di un assegno di cura e per l’autonomia, con alcune caratteristiche uniformi definite a livello nazionale. 10 * Per le Regioni Valle d’Aosta e Sicilia sono presentati i dati relativi all’annualità 2017. Il dato della Regione Calabria non è disponibile. I dati di tali Regioni non sono considerati nella figura in basso.

Assistenza indiretta per i gravissimi: le caratteristiche essenziali 
Al fine di definire le caratteristiche dell’assistenza indiretta da garantire su tutto il territorio nazionale, appare preliminarmente opportuno definirne la ratio: nella definizione adottata dal DM 26 settembre 2016, si tratta di «un supporto alla persona non autosufficiente e alla sua famiglia eventualmente anche con trasferimenti monetari nella misura in cui gli stessi siano condizionati all’acquisto di servizi di cura e assistenza domiciliari nelle forme individuate dalle Regioni o alla fornitura diretta degli stessi da parte di familiari e vicinato sulla base del piano personalizzato». E’ evidente quindi il carattere sostitutivo di servizi che l’assegno deve assumere, o, detta in altri termini, il carattere immanente nel sistema dei servizi territoriali e di radicamento in essi. Non è quindi una prestazione assimilabile all’indennità di accompagnamento o alle altre prestazioni di invalidità civile (cui, comunque, si cumulerà), concesse sulla base di un mero accertamento medico-legale. Si tratta piuttosto di un sostegno che si inserisce in un quadro più generale di valutazione multidimensionale del bisogno e di progettazione personalizzata (su cui si tornerà oltre), in cui può ritenersi appropriato erogare assistenza in forma indiretta per varie ragioni: dalla promozione dell’autodeterminazione, quando possibile, anche mediante la possibilità di scegliere i servizi di cura e le persone che li forniscono, alla valorizzazione del lavoro di cura del care-giver familiare, in particolare nel caso di minorenni o di persone che non siano in grado di esprimere pienamente la propria volontà. Resta ferma la possibilità per la Regione di erogare direttamente i servizi – eventualmente lasciando facoltà al beneficiario di scegliere tra assistenza diretta e indiretta – così come di modulare l’ammontare dell’assegno sulla base di altri servizi inclusi nel progetto personalizzato (ad esempio, la frequenza di centri diurni). Quel che rileva è che l’assegno sia ancorato ad un bisogno di sostegno inteso come assistenza personale: in questi termini, i gravissimi, per come identificati rispetto al bisogno assistenziale, rappresentano il punto di partenza di interventi che potranno riguardare tutto il FNA, una volta validato a livello nazionale uno strumento unitario di valutazione del bisogno in grado di differenziare le situazioni in base alla diversa necessità di sostegno intensivo. Considerata la dimensione strutturale del Fondo (550 milioni di euro a decorrere dal 2019) e il numero di persone con disabilità gravissima (inferiore a 60 mila), nonché tenuto conto che nell’ultimo triennio è già fissata alla metà del totale la quota minima di risorse da destinare agli interventi in favore di tali persone, appare sostenibile un intervento che, in assenza di altri servizi erogati dal territorio (come ad esempio, assistenza domiciliare o servizi semiresidenziali), preveda un trasferimento di almeno 400 euro mensili per 12 mensilità. La dimensione dell’intervento è comunque limitata dall’ammontare di risorse disponibili e la Regione dovrà comunque evidenziare i criteri in base ai quali eventualmente identificare le priorità nell’accesso in caso di risorse non sufficienti, rispetto al livello minimo (ove utilizzati, tali criteri saranno oggetto di specifico monitoraggio al fine di uniformare le pratiche). La Regione potrà, ad ogni modo, con risorse proprie, integrare o differenziare la prestazione, così come potrà modularla riducendola, come detto, in caso di un’offerta integrata di servizi, anche a valere sulle risorse FNA (si pensi alla fornitura diretta di assistenza domiciliare o a periodi di ricoveri di sollievo in cui la quota sociale è posta a carico del FNA). Quanto alla valutazione della condizione economica ai fini dell’accesso, si ritiene che, per quanto possibile – trattandosi di prestazioni per persone in condizione di disabilità gravissima – debbano essere sottratte alla prova dei mezzi e, se del caso, sottoposte a soglie comunque di valore molto elevato: in particolare, l’assegno non deve essere condizionato a valori ISEE inferiori a 50 mila euro, accresciuti a 65 mila in caso di beneficiari minorenni, dove l’ISEE da utilizzare è quello per prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria (art. 6 del DPCM 159/2013). E’ infine facoltà della Regione sottoporre tali erogazioni a rendicontazione o a prevedere trasferimenti nella forma di voucher o buoni per l’acquisto di servizi. Se si propendesse per trasferimenti non condizionati a rendicontazione, è comunque necessario un monitoraggio del sostegno prestato secondo gli impegni assunti nel progetto personalizzato.

Gli altri beneficiari: i non autosufficienti «gravi»
La condizione di disabilità gravissima non esaurisce il novero delle finalizzazione del Fondo per le non autosufficienze. In generale, il Fondo finanzia anche interventi per non autosufficienze «gravi», ad oggi però non meglio specificate a livello nazionale e quindi rimesse nei termini definitori esclusivamente alla programmazione regionale. Dal punto di vista quantitativo, si tratta di un insieme di beneficiari simile a quello dei gravissimi. Il totale nazionale in tabella, infatti, è pari a poco più di 60 mila persone, leggermente superiore a quanto indicato per i gravissimi (55,6 mila). Manca ancora il dato della Valle d’Aosta (assente pure tra i gravissimi), mentre la Basilicata sembrerebbe aver indicato tra i gravi anche gran parte dei gravissimi; si tratta comunque di regioni molto piccole che non modificano gli ordini di grandezza nazionali. Pur con questi ed altri limiti più volte evidenziati di mancanza di esaustività e piena comparabilità dei dati raccolti a livello regionale, si può quindi affermare che il totale nazionale degli assistiti del FNA sia di circa 120 mila beneficiari, più o meno equamente ripartiti tra gravi e gravissimi. Nel complesso si tratta di 20 persone ogni 10 mila residenti, pari a poco più del 5% dei beneficiari dell’indennità di accompagnamento. La distribuzione territoriale appare però molto diversa: in generale, le Regioni del Mezzogiorno sembrano aver indirizzato prioritariamente
l’intervento sui gravissimi (i gravi essendo meno del 30% del totale degli assistiti; cfr. grafico, asse di sinistra); viceversa, nel Centro il numero di gravi sul totale degli assistiti è largamente prevalente (in media il 70% del totale), mentre il Nord è poco sopra la media nazionale. Analoghe evidenze si osservano nelle incidenze rispetto alla popolazione residente, muovendosi da 5 per 10 mila nel Mezzogiorno a oltre 15 nel Centro (asse di destra in figura). Ma i dati medi nascondono una notevole variabilità, anche all’interno della stessa macro area territoriale, con punte, da un lato, inferiori al 5% del totale degli assistiti in Campania, pari a meno di 1 persona ogni 10 mila residenti, e, dall’altro, dell’85% degli assistiti in Toscana e di oltre 40 persone ogni 10 mila in Umbria. In generale, le scelte regionale sui non autosufficienti gravi dipendono fondamentalmente dal sistema di welfare regionale e sono difficilmente valutabili in questo contesto: ad esempio, un basso numero di gravi potrebbe essere in alcuni casi – quelli di sistemi «forti» – l’effetto della copertura di queste platee con risorse regionali, mentre in altri – sistemi «deboli» – l’effetto di una destinazione dell’intero ammontare delle risorse del Fondo per i gravissimi.

Gli interventi per i non autosufficienti gravi: verso una definizione nazionale 
L’eterogeneità a livello regionale nel numero di non autosufficienti gravi e nella loro quota rispetto al totale degli assistiti si accompagna anche ad una notevole diversità territoriale nella programmazione delle risorse loro dedicate. Le aree di intervento sono le medesime che per i gravissimi (cfr. pag. 10 e allegato 2), ma mentre per questi ultimi l’utilizzo prevalente se non esclusivo è l’assistenza indiretta per tutte le Regioni, nel caso dei gravi ciò è vero solo in metà delle stesse (figura in alto*). Nella media nazionale a tal fine è programmato il 70% del totale delle risorse, cifra comunque in crescita di circa 10 punti rispetto a quanto rendicontato relativamente all’annualità 2016 (figura in basso); la quota destinata all’assistenza domiciliare diretta è invece del 23%, quasi quattro volte quello rilevato per i gravissimi, con alcune Regioni (Valle d’Aosta, Puglia, Sardegna) in cui tale utilizzo è esclusivo; infine, la quota per interventi complementari quali ricoveri di sollievo è di poco meno del 7%, circa il doppio di quella prima vista per i gravissimi. Infine, anche qualitativamente, le persone assistite a valere sulle risorse FNA come non autosufficienti gravi non sono in alcun modo riconducibili ad un modello nazionale di riferimento. In generale, l’accesso è sempre preceduto da una valutazione multidimensionale a cura di una specifica équipe con competenze socio-sanitarie, ma non esistono pratiche comuni negli strumenti e nei criteri di scelta adottati. Varie sono ad esempio le scale prese a riferimento (SVAMA/SVAMDi, SiDi, Aged, Valgraf, Bina, Barthel, ecc.), di solito usate a supporto della valutazione, ma senza che da esse discendano differenziazioni nei servizi e negli interventi attivati o cut-off per la definizione dell’accesso individuabili a livello nazionale o anche regionale. Indubbiamente più diffuso per i gravi è l’utilizzo dell’ISEE, utilizzato sempre seppure in alcune Regioni mediante la fissazione di soglie di accesso – a livelli decisamente inferiori di quelli prima esaminati per i gravissimi – in altre come criterio di ordinamento delle domande per individuare i beneficiari in caso di risorse non sufficienti. In alcuni casi, infine, si individuano a livello regionale specifici target di intervento (esempio, anziani o minorenni). In altri, le risorse sono trasferite agli ambiti territoriali (a volte ai distretti socio-sanitari), che a loro volta individuano beneficiari e interventi secondo le priorità del territorio. Alla luce di tali evidenze, quindi, anche se queste differenziazioni territoriali appaiono l’effetto non sorprendente della mancata strutturalità delle risorse del FNA fino al 2016 e della rilevante eterogeneità dei sistemi di welfare territoriali (come visto nella prima parte), non vi è dubbio che nel percorso verso i livelli essenziali delle prestazioni a valere sul FNA, nel periodo oggetto di questo Piano e a integrazione di quanto fatto con i gravissimi, i maggiori investimenti che devono esser fatti in termini programmatori riguardano l’identificazione di strumenti che permettano di definire unitariamente la platea dei beneficiari. 13 * Per le Regioni Valle d’Aosta e Sicilia sono presentati i dati relativi all’annualità 2017. Per la Regione Calabria i dati relativi all’annualità 2016. I dati di tali Regioni non sono considerati nella figura in basso.

L’identificazione delle persone non autosufficienti gravi ai fini dell’FNA 
Una delle priorità di questo Piano è quindi l’avvio di un percorso nazionale di identificazione delle persone non autosufficienti gravi che accedono agli interventi dell’FNA, percorso concettualmente simile a quello avviato con il DM 26 settembre 2016 per i gravissimi. Come si è visto, in quel caso, l’adozione di una stringente definizione nazionale, entrata a regime nel 2018, ha subito cominciato a produrre effetti di omogeneizzazione territoriale, pur in presenza di scelte programmatorie diverse a livello regionale sugli interventi da attivare. Evidentemente, però, l’approccio adottato per i gravissimi non è volto a identificare una «misura» della non autosufficienza: nel caso dei gravissimi è la patologia o menomazione, associata a specifiche scale funzionali, a permettere – indirettamente – di individuare un bisogno assistenziale tale da meritare opportuna tutela. E’ un approccio cioè specifico, che non ha caratteristiche di universalità e non è estendibile oltre l’ambito per cui è stato pensato. E’ un primo importante passo, ma che necessita di essere integrato con una definizione di «non autosufficienza» che – a prescindere dalle specifiche patologie o menomazioni e, quindi, in maniera applicabile a tutti – permetta di differenziare le situazioni sulla base del bisogno assistenziale e della necessità di sostegno intensivo. E’ questo un obiettivo chiaro sin da principio (cfr. il già richiamato art. 7 del DM 26 settembre 2016) e su cui del lavoro è stato già fatto: per tale finalità, con DM 31 maggio 2017 era stata infatti insediata una Commissione tecnica presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, coordinata da Carlo Francescutti (già coordinatore del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità) e da Luigi Tesio (Direttore del Dipartimento di Scienze Neuro-riabilitative dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano di Milano), con la partecipazione di esperti individuati dal partenariato sociale e dalle Regioni e dall’ANCI. La Commissione ha definito una prima proposta di strumenti valutativi da sottoporre all’adozione di questo Piano e a successiva validazione territoriale. Il punto di partenza è l’individuazione delle caratteristiche del sostegno per la persona e la sua famiglia che si ritiene debba essere oggetto di interventi a carico del FNA; in particolare, deve trattarsi di un sostegno:
• proporzionato all’onerosità dell’impegno assistenziale umano;
• di tipo generico e non professionale;
• necessario in caso di assistenza domiciliare;
• reso necessario da una disabilità;
• che superi in intensità, durata e frequenza quello che può essere soddisfatto da una ordinaria rete relazionale familiare;
• in una logica di gradualità dei benefici rispetto al bisogno effettivo, e non risarcitoria della gravità intrinseca della disabilità né della sottostante patologia.
Ne consegue che «come criterio di riferimento per la definizione di livelli graduati di necessità di sostegno intensivo si è assunta la gravosità del carico assistenziale richiesto al caregiver. Questa gravosità è vista come una variabile unidimensionale che rappresenta l’ammontare dell’attività assistenziale aspecifica (caregiving) richiesta, ammontare inteso come valido indicatore (“proxy”) del costo che persona non autosufficiente e contesto familiare devono sostenere e sul quale vogliono intervenire i benefici offerti dal FNA». La strumento costruito – un questionario per la definizione del carico assistenziale – è relativamente semplice e volto quindi ad individuare la necessità di presenza del caregiver, più che le sue specifiche mansioni, attitudini e competenze.

Una «misura» della non autosufficienza
Il questionario è qui riprodotto. Individua cinque ambiti di vita in cui considerare il tipo e l’ammontare di assistenza necessaria: la cura della persona (inclusi i trasferimenti letto/sedia, sedia/WC, ecc. in caso di ipomobilità grave), la mobilità domestica, la gestione del comportamento, i compiti domestici (solo per persone con 12 anni o più) e la mobilità per attività extra-domestiche. Per ciascuno di questi ambiti va identificata la tipologia di assistenza di cui la persona necessita e a ciascuna tipologia è assegnato un coefficiente: in caso di assenza di necessità rilevanti (da non confondersi con completa autosufficienza, ma con bisogni che possono essere soddisfatti dalla rete relazionale ordinaria) il punteggio è nullo; se vi è bisogno di ausili che necessitano del coinvolgimento attivo, costante e quotidiano da parte del caregiver, il coefficiente è 1; se c’è necessità di supporto fisico complementare (ripetutamente nel corso della giornata e tutti i giorni, con sforzo fisico non minimale dell’operatore) o di vigilanza/supervisione non continuativa (presenza comunque tutti i giorni, più volte al giorno, anche se per non più di 12 ore), il coefficiente è 2; se il supporto fisico necessario è sostitutivo e non complementare oppure la vigilanza/supervisione è continuativa per gran parte della giornata, il coefficiente è 3. Se vi sono più necessità (es. ausili e supporto fisico oppure sia supporto fisico che vigilanza), si applica in ciascun ambito il coefficiente più elevato (senza sommare) e se per motivi clinici le attività in alcuni ambiti non sono possibili (es. mobilità extra domestica) si applica il coefficiente massimo. Il punteggio complessivo è quindi ottenuto dalla somma dei coefficienti in ciascun ambito moltiplicati per il peso attribuito all’ambito medesimo (il peso più alto – pari a 5 – è attribuito alla cura della persona, il più basso
– pari a 2 – ai compiti domestici e alla mobilità extra-domestica). Si ottiene così una scala del bisogno assistenziale (come sopra specificato) che si estende in un ra»nge che va da 0 a 51 punti (per i minori di 12 anni, da 0 a 45) e che restituisce un ordinamento delle persone secondo il criterio unidimensionale della «gravosità» di sostegno intensivo di cui necessitano. Con strumenti di questo tipo – una «misura della Non Autosufficienza - mNA» – e l’identificazione di opportuni punteggi soglia, definiti anche sulla base delle risorse disponibili nel Fondo, ci si può quindi muovere nella direzione auspicata e, cioè, verso «non soltanto una maggiore capacità selettiva utile alla programmazione delle politiche e dei servizi a favore delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie, ma anche una maggiore trasparenza dei processi decisionali, una maggiore equità e un contenimento degli elementi conflittuali».
Il processo di implementazione della nuova «misura NA»
La proposta illustrata, prima di poter essere adottata come strumento operativo dai territori, necessita evidentemente di conferme empiriche e di un processo di validazione. Va innanzitutto considerato che esistono vari momenti valutativi a livello regionale ai quali lo strumento qui proposto si sovrappone. Seppure le finalità possano non essere esattamente le medesime di quelle del FNA – e cioè l’identificazione delle persone con maggior bisogno assistenziale ai fini dell’accesso a specifici interventi e servizi – si tratta in ogni caso di strumenti già adottati a livello regionale, che investono gli stessi ambiti d’analisi, che gli operatori sono già in grado di utilizzare e che con ogni probabilità sono già stati somministrati ai medesimi beneficiari degli interventi a valere sul FNA o perlomeno ad alcuni di essi. Ai fini di una prima validazione empirica della misura, la stessa Commissione proponente ha già avuto modo di lavorare su alcuni dataset regionali relativi a strumenti molto più complessi di quello qui proposto, basati su articolate procedure di definizione di profili di funzionamento (SI.D.I. della Regione Lombardia e Val.Graf. e un questionario sulle condizioni di vita per persone con disabilità in strutture residenziali e semiresidenziali della Regione Friuli Venezia Giulia): sono stati analizzati i singoli item degli strumenti regionali, ricondotti quelli rilevanti agli ambiti prima descritti della «mNA», individuati i coefficienti e ricavati i punteggi. In altri termini, già in sede di proposta, si è potuto dimostrare – con buoni esiti – la possibilità di trans-codificare nella misura nazionale alcuni strumenti regionali applicati ad un significativo numero di persone (oltre 10 mila in ciascuna delle due Regioni). Non è però evidentemente sufficiente, vista la notevole variabilità di strumenti in uso a livello regionale (o anche infra-regionale) di cui già si è fatto cenno. Ai fini della validazione della mFNA, il primo passo da compiere è quindi quello – per tutte le Regioni che adottano procedure di valutazione della non autosufficienza con strumenti propri – di trans-codificare tali strumenti in quello nazionale. Ciò implica nell’ordine: un censimento degli strumenti utilizzati, la verifica della riconducibilità delle voci/item dello strumento regionale agli ambiti identificati per l’mNA, l’impegno a raccogliere i dati a livello individuale su tutti i beneficiari di interventi a valere sul FNA e a metterli a disposizione di un database nazionale. Per le Regioni che invece non si sono dotate di propri strumenti di valutazione della non autosufficienza, l’impegno è a somministrare il questionario mNA a tutti i beneficiari degli interventi a valere sul Fondo per far confluire i dati nel medesimo database. Perlomeno su un campione dei beneficiari e per tutte le Regioni andranno inoltre raccolte informazioni sulle condizioni cliniche (nei termini di categorie di menomazione, dispositivi biomedici, programmi terapeutici) da utilizzare come «codici di contesto», finalizzato a controlli di coerenza ex-post. Il questionario mNA andrà somministrato anche ad un campione di persone con disabilità gravissima, che si ricorda è ad oggi una definizione adottata sperimentalmente: vanno infatti verificate le scelte compiute nel DM 26 settembre 2016 nell’ottica di rafforzarle ed eventualmente integrarle, atteso che l’approccio seguito è stato quello di valutazione solo indiretta del carico assistenziale. Infine, il flusso informativo – seppur riferito a prestazioni sociali – andrà coordinato con il flusso SIAD in materia di assistenza domiciliare attivato nell’ambito del Sistema sanitario nazionale, nelle modalità da definire con la costituzione di un apposito tavolo di lavoro con il Ministero della salute. In sintesi, quindi, con il processo sopra descritto, da attuarsi nel periodo di vigenza di questo Piano, le Regioni che utilizzano strumenti propri per la valutazione della non autosufficienza potranno continuare ad utilizzarli e quelle che non ne hanno di disponibili o che vorranno fare un investimento per il cambiamento potranno utilizzare direttamente lo strumento nazionale. Allo stesso tempo, la definizione per i gravissimi potrà trovare conferme ed essere eventualmente integrata. La cosa più importante, però, è che al termine di questo processo – da validare a livello nazionale, a partire dalle trans-codifiche, con l’istituzione di una apposita Commissione tecnico-scientifica – la misura della non autosufficienza nazionale potrà definitivamente orientare le scelte di programmazione delle risorse del FNA e quindi tutti i beneficiari a valere su tali risorse, indipendentemente dal luogo di residenza, potranno essere identificati in maniera omogenea e secondo criteri uniformi.
L’integrazione socio-sanitaria e la valutazione multidimensionale 
Si è detto della conferma in questo Piano degli interventi previsti nel DM 26 settembre 2016, che abbiamo definito una sorta di Piano «zero». Come già previsto nel medesimo DM (cfr. Allegato 3), non può prescindersi da un ancoraggio di tali interventi in un sistema integrato di servizi socio-sanitari territoriali, quale quello che è andato delineandosi sin dagli albori del FNA, anche mediante la possibilità di finanziare con le risorse del Fondo (nelle prime annualità) le misure regionali per l’integrazione delle politiche sociali e sanitarie. E’ un impegno che permane – una sorta di pre-condizione per gli interventi a valere sul FNA – e che rappresenta un vero e proprio modello di intervento, che negli anni è andato affermandosi anche oltre l’ambito delle politiche in favore delle persone con disabilità grave (dove pure ha trovato importanti conferme, ad esempio, in attuazione delle politiche nazionali per il cd. «dopo di noi», che più avanti si prenderà a riferimento): sia il primo Piano per gli interventi e i servizi di contrasto alla povertà che il primo Piano sociale nazionale (entrambi per il periodo 2018-20) e prima ancora il d. lgs. n. 147 del 2017, nella parte che resta viva e rafforzata con il Reddito di cittadinanza, hanno affermato un modello in cui i servizi territoriali si integrano per fornire risposte appropriate a bisogni tipicamente complessi e che necessitano di essere analizzati e valutati su più dimensioni. Un approccio «ecologico» in cui la persona è considerata nell’ambito del contesto sociale in cui vive, a partire dalla famiglia e dalla comunità d’appartenenza, ed in coerenza, nello specifico degli interventi di questo Piano, con i principi della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Con riferimento a questo Piano, l’integrazione va promossa sin dall’accesso ai servizi socio-sanitari, al fine di agevolare e semplificare l’informazione e le procedure, rafforzando i presidi territoriali nella forma di Punti Unici di Accesso alle prestazioni. Agli interventi a valere sul FNA, come già nel caso del «dopo di noi» (art. 2, del DM 23 novembre 2016, qui richiamato quale punto più avanzato di elaborazione programmatica condivisa in materia) «si accede previa valutazione multidimensionale, effettuata da equipe multi professionali in cui siano presenti almeno le componenti clinica e sociale, secondo i principi della valutazione bio-psico-sociale e in coerenza con il sistema di classificazione ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute)». La valutazione multidimensionale va oltre lo specifico dell’analisi del bisogno assistenziale (la mNA di cui alle pagine precedenti) e «analizza le diverse dimensioni del funzionamento della persona con disabilità in prospettiva della sua migliore qualità di vita, ed in particolare, almeno le seguenti aree: cura della propria persona, inclusa la gestione di interventi terapeutici; mobilità; comunicazione e altre attività cognitive; attività strumentali e relazionali della vita quotidiana». «La valutazione … è finalizzata alla definizione del progetto personalizzato…, [che] individua gli specifici sostegni di cui la persona con disabilità grave necessita», inclusi gli interventi a valere sul FNA, e che «contiene il budget di progetto, quale insieme di tutte le risorse umane, economiche, strumentali da poter utilizzare in maniera flessibile, dinamica ed integrata». Assume pertanto particolare rilevanza, anche ai sensi dei Livelli Essenziali di Assistenza (Dpcm 12/01/2017), l'articolazione individualizzata e flessibile degli interventi integrati condivisi con la persona e/o la famiglia.
Il progetto personalizzato 
La valutazione multidimensionale è finalizzata alla definizione del progetto personalizzato. Proseguendo nel richiamo dei principi definiti in sede di attuazione del «Dopo di noi», «il progetto individua gli specifici sostegni di cui la persona … necessita, a partire dalle prestazioni sanitarie, sociali e socio-sanitarie ed inclusi gli interventi e i servizi … a valere sulle risorse del Fondo, in coerenza con la valutazione multidimensionale e con le risorse disponibili, in funzione del miglioramento della qualità di vita e della corretta allocazione delle risorse medesime. … Il progetto personalizzato contiene il budget di progetto, quale insieme di tutte le risorse umane, economiche, strumentali da poter utilizzare in maniera flessibile, dinamica ed integrata» (art. 2, co. 2, DM 23 novembre 2016). «Il progetto personalizzato è definito assicurando la più ampia partecipazione possibile della persona … [non autosufficiente], tenendo conto dei suoi desideri, aspettative e preferenze e prevedendo altresì il suo pieno coinvolgimento nel successivo monitoraggio e valutazione. Laddove la persona con disabilità grave [o gravissima] non sia nella condizione di esprimere pienamente la sua volontà, è sostenuta … da chi ne tutela gli interessi». (art. 2, co. 3, DM 23 novembre 2016). «Nel rispetto dell’articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ed in particolare, del comma 1, lettera a), gli interventi e i servizi … sono proposti e condivisi con la persona con disabilità grave … [o gravissima] garantendole la possibilità di autodeterminarsi e il rispetto della libertà di scelta. A tal fine vanno garantiti, con le minori limitazioni possibili e con particolare riguardo alle persone con disabilità intellettiva e del neuro sviluppo, gli strumenti previsti dalla vigente legislazione relativi al sostegno nella presa delle decisioni, nonché devono essere adottate strategie volte a facilitare la comprensione delle misure proposte» (art. 3, co. 1, DM 23 novembre 2016). «Il progetto personalizzato individua, sulla base della natura del bisogno prevalente emergente dalle necessità di sostegni definite nel progetto, una figura di riferimento (case manager) che ne curi la realizzazione e il monitoraggio, attraverso il coordinamento e l’attività di impulso verso i vari soggetti responsabili della realizzazione dello stesso.
Il progetto personalizzato definisce metodologie di monitoraggio, verifica periodica ed eventuale revisione, tenuto conto della soddisfazione e delle preferenze della persona con disabilità grave [o gravissima]» (art. 2, co. 4 e 5, DM 23 novembre 2016). E’ essenziale che il progetto, una volta identificati i sostegni, benché soggetto a verifica della persistenza delle condizioni che lo hanno motivato, abbia una continuità senza soluzioni legate alle diverse annualità di finanziamento degli interventi. In altri termini, va assicurata, nei limiti del possibile, la continuità delle prestazioni senza procedere a rivalutazioni che non siano motivate dal necessario monitoraggio in itinere.






Riparto delle risorse e monitoraggio 
I criteri di riparto delle risorse del FNA sono – dall’origine – costruiti come una media ponderata di due indicatori utilizzati quali proxy «della domanda potenziale di servizi per la non autosufficienza:
 a) popolazione residente, per regione, d’età pari o superiore a 75 anni, nella misura del 60%; b) criteri utilizzati per il riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all’articolo 20, comma 8, della legge 8 novembre 2000, n. 328, nella misura del 40%» (art. 1, co. 2 del DM 26 settembre 2016). Si tratta di criteri che hanno una loro razionalità. In assenza di indicatori sulla distribuzione regionale delle persone non autosufficienti (non sono utili a tal fine i dati amministrativi sui beneficiari di prestazioni quali l’indennità di accompagnamento), si è preferito adottare da principio indicatori demografici e indicatori già in uso dalla fine degli anni 90 del secolo scorso per il riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali (fondo che, perlomeno fino alla nascita del FNA, ma in parte anche successivamente, ne svolgeva le funzioni per la quota parte volta a finanziare servizi territoriali per la disabilità). D’altra parte, quel che qui rileva non è il numero assoluto di non autosufficienti in una data regione, ma la quota relativa nel totale nazionale: a meno di specifiche differenziazioni territoriali delle incidenze e delle prevalenze – di cui però non vi è alcuna evidenza scientifica (se non marginalmente e limitatamente a singole patologie, ma non tali da modificare il quadro) – la quota di popolazione residente in una data regione sul totale nazionale è una buona approssimazione della quota relativa di persone non autosufficienti residenti in quella regione. E poiché tra le persone non autosufficienti, gli anziani sono più rappresentati che nella popolazione complessiva, la scelta di un indicatore demografico riferito alla distribuzione territoriale degli anziani appare preferibile. Si noti che la quota di anziani ultra 75enni beneficiari degli interventi a valere sul FNA, pur con i limiti della raccolta dati per questo Piano evidenziati nelle sezioni precedenti, è risultata essere di quasi la metà del totale dei beneficiari, a fronte di una quota nella popolazione residente che è solo di un decimo del totale. Gli indicatori utilizzati ad oggi per il riparto del FNA – riportati in tabella e aggiornati al 2019 – sono quindi confermati per il periodo di vigenza di questo Piano come una sorta di criterio di spesa storica. Ma nei prossimi anni – mano a mano che avanzerà la progressione graduale verso i livelli essenziali – anche tali indicatori dovranno essere rivisti per tener conto sempre più del fabbisogno che emerge in ciascuna Regione una volta definiti in maniera uniforme i destinatari delle risorse e le prestazioni loro dedicate, proseguendo nel lavoro avviato con i gravissimi secondo le indicazioni prima illustrate e, in particolare, a partire dall’assegno di cura e per l’autonomia definito in questo Piano. Perché questo percorso possa compiersi è però essenziale che i flussi informativi sull’utilizzo delle risorse – beneficiari e interventi – siano puntuali, affidabili e comparabili. A tal fine il decreto con cui questo Piano verrà adottato individuerà specifici standard per la raccolta dei dati a livello di ambito territoriale, secondo le modalità definite dal recente DM 22 agosto 2019 che attua il Sistema informativo dell’offerta dei servizi sociali (art. 24, co. 3, lett. b), d. lgs. 147/2017). La massima attenzione è perciò da porsi sulla regolarità e puntualità dei flussi perché solo in questo modo il prossimo Piano potrà davvero rappresentare un avanzamento rispetto al presente.
Progetti per la vita indipendente 
Oltre agli interventi di cui all’allegato 2, sin dal 2014 il FNA è attribuito in una quota parte anche al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la realizzazione di progetti sperimentali in materia di vita indipendente, da attuarsi comunque per il tramite delle Regioni. Si è trattato di una concreta attuazione del primo Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, adottato con DPR 4 ottobre 2013, e, in particolare, della linea di intervento 3 «Politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l’inclusione nella società». Il riferimento è all’articolo 19 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità per il quale gli Stati riconoscono “il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società”. Gli Stati devono assicurare che “le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione”. Inoltre, gli Stati devono garantire che “le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione”. In occasione del parere sul Programma di azioni in sede di Conferenza Unificata, le stesse Regioni avevano espresso la raccomandazione «di incrementare il finanziamento per le sperimentazioni regionali per le politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente» e, pertanto, al primo riparto utile del FNA (annualità 2014) 10 milioni di euro sono stati a tal fine destinati, in particolare attribuendo le risorse «ai territori coinvolti nella sperimentazione per il tramite delle Regioni e delle Province autonome sulla base di linee guida adottate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali» (art. 6, DM 7 maggio 2014). Le linee guida adottate dal Ministero – redatte sulla base del primo Programma di azione e aggiornate a seguito dell’adozione del secondo Programma (DPR 12 ottobre 2017), che ha mantenuto la linea di intervento sulla vita indipendente – sono state quindi lo strumento di indirizzo per l’implementazione delle sperimentazioni a livello territoriale. I principi generali per tali sperimentazioni sono quelli visti per l’utilizzo delle risorse FNA di cui si è discusso precedentemente e cioè: valutazione multidimensionale, progettazione personalizzata, budget di progetto; con le linee guida per i progetti per la vita indipendente si è avuto modo di disciplinare anche nello specifico la partecipazione della persona con disabilità alla progettazione, che deve essere la più ampia possibile; la libera scelta dell’assistente personale, che deve essere sempre garantita a meno di specifiche indicazioni emerse in sede di valutazione; il contributo economico per l’assistente personale, che deve essere considerato parte di un più ampio sistema di aree di progettazione connesse all’obiettivo di autonomia; la specifica attenzione a forme di abitare in autonomia; l’attenzione allo sviluppo – quali azioni di sistema – di specifiche agenzie per la vita indipendente e consulenza alla pari. Dopo un quinquennio, appare oggi necessario che le progettazioni per la vita indipendente – attestatesi nell’ultimo triennio su una dimensione nazionale di 15 milioni di euro più il cofinanziamento regionale – escano dalla fase sperimentale ed entrino nella programmazione ordinaria dei servizi. Fermo restando un coordinamento nazionale mediante linee guida da adottare con il decreto di riparto FNA, le risorse per l’attuazione dei progetti rientreranno quindi nella quota regionale: ciascuna Regione dovrà garantire, però, nell’ambito della programmazione regionale degli interventi, una diffusione dei progetti in termini di risorse e di numero di Ambiti territoriali coinvolti pari almeno a quanto indicato nel D.D. n. 669 del 28 dicembre 2018 (di adozione delle linee guida della passata annualità del FNA): deve cioè trattarsi di almeno 187 ambiti per un totale di 18,7 milioni di euro, tenuto conto del cofinanziamento del 20% già garantito dalle Regioni. Sono valori minimi da confermare rispetto alle annualità precedenti, considerato che ciascuna Regione si impegnerà a sviluppare i progetti di vita indipendente prospetticamente in tutti gli Ambiti territoriali in cui vi sono le condizioni per attuarlo.
Allegato 1 – La condizione di disabilità gravissima
La condizione di disabilità gravissima è determinata ai sensi dell’articolo 3, commi 2 e 3 del DM 26 settembre 2016, di seguito riportati: «2. Per persone in condizione di disabilità gravissima, ai soli fini del presente decreto, si intendono le persone beneficiarie dell’indennità di accompagnamento, di cui alla legge 11 febbraio 1980, n. 18, o comunque definite non autosufficienti ai sensi dell’allegato 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013, e per le quali sia verificata almeno una delle seguenti condizioni:
a) persone in condizione di coma, Stato Vegetativo (SV) oppure di Stato di Minima Coscienza (SMC) e con punteggio nella scala Glasgow Coma Scale (GCS)<=10;
b) persone dipendenti da ventilazione meccanica assistita o non invasiva continuativa (24/7);
c) persone con grave o gravissimo stato di demenza con un punteggio sulla scala Clinical Dementia Rating Scale (CDRS)>=4;
d) persone con lesioni spinali fra C0/C5, di qualsiasi natura, con livello della lesione, identificata dal livello sulla scala ASIA Impairment Scale (AIS) di grado A o B. Nel caso di lesioni con esiti asimmetrici ambedue le lateralità devono essere valutate con lesione di grado A o B;
e) persone con gravissima compromissione motoria da patologia neurologica o muscolare con bilancio muscolare complessivo ≤ 1 ai 4 arti alla scala Medical Research Council (MRC), o con punteggio alla Expanded Disability Status Scale (EDSS) ≥ 9, o in stadio 5 di Hoehn e Yahr mod;
f) persone con deprivazione sensoriale complessa intesa come compresenza di minorazione visiva totale o con residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione o con residuo perimetrico binoculare inferiore al 10 per cento e ipoacusia, a prescindere dall’epoca di insorgenza, pari o superiore a 90 decibel HTL di media fra le frequenze 500, 1000, 2000 hertz nell’orecchio migliore;
g) persone con gravissima disabilità comportamentale dello spettro autistico ascritta al livello 3 della classificazione del DSM-5;
h) persone con diagnosi di Ritardo Mentale Grave o Profondo secondo classificazione DSM-5, con QI<=34 e con punteggio sulla scala Level of Activity in Profound/Severe Mental Retardation (LAPMER) <= 8;
i) ogni altra persona in condizione di dipendenza vitale che necessiti di assistenza continuativa e monitoraggio nelle 24 ore, sette giorni su sette, per bisogni complessi derivanti dalle gravi condizioni psicofisiche.
Le scale per la valutazione della condizione di disabilità gravissima, di cui al comma 2, lettere a), c), d), e), e h), sono illustrate nell’Allegato 1 al presente decreto. Per l’individuazione delle altre persone in condizione di dipendenza vitale, di cui al comma 2, lettera i), si utilizzano i criteri di cui all’Allegato 2 del presente decreto. Nel caso la condizione di cui al comma 2, lettere a) e d), sia determinata da eventi traumatici e l’accertamento dell’invalidità non sia ancora definito ai sensi delle disposizioni vigenti, gli interessati possono comunque accedere, nelle more della definizione del processo di accertamento, ai benefici previsti dalle Regioni ai sensi del presente articolo, in presenza di una diagnosi medica di patologia o menomazione da parte dello specialista di riferimento che accompagni il rilievo funzionale.»
Allegato 2 – Le finalità degli interventi 
Il presente Piano richiama integralmente le finalità degli interventi a valere sul FNA come definite dall’articolo 2, commi 1 e 2, del DM 26 settembre 2016, di seguito riportati: «1. Nel rispetto delle finalità di cui all’articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e nel rispetto dei modelli organizzativi regionali e di confronto con le autonomie locali, le risorse di cui all’articolo 1 del presente decreto sono destinate alla realizzazione di prestazioni, interventi e servizi assistenziali nell’ambito dell’offerta integrata di servizi socio-sanitari in favore di persone non autosufficienti, individuando, tenuto conto dell’articolo 22, comma 4, della legge 8 novembre 2000, n. 328, le seguenti aree prioritarie di intervento riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni, nelle more della determinazione del costo e del fabbisogno standard ai sensi dell’articolo 2, comma 2, lettera f), della legge 5 maggio 2009, n. 42:
a) l’attivazione o il rafforzamento del supporto alla persona non autosufficiente e alla sua famiglia attraverso l’incremento dell’assistenza domiciliare, anche in termini di ore di assistenza personale e supporto familiare, al fine di favorire l’autonomia e la permanenza a domicilio, adeguando le prestazioni alla evoluzione dei modelli di assistenza domiciliari;
b) la previsione di un supporto alla persona non autosufficiente e alla sua famiglia eventualmente anche con trasferimenti monetari nella misura in cui gli stessi siano condizionati all’acquisto di servizi di cura e assistenza domiciliari nelle forme individuate dalle Regioni o alla fornitura diretta degli stessi da parte di familiari e vicinato sulla base del piano personalizzato, di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b), e in tal senso monitorati;
c) la previsione di un supporto alla persona non autosufficiente e alla sua famiglia eventualmente anche con interventi complementari all’assistenza domiciliare, a partire dai ricoveri di sollievo in strutture sociosanitarie residenziali e semiresidenziali, nella misura in cui gli stessi siano effettivamente complementari al percorso domiciliare, assumendo l’onere della quota sociale e di altre azioni di supporto individuate nel piano personalizzato, di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b), e ad esclusione delle prestazioni erogate in ambito residenziale a ciclo continuativo di natura non temporanea.
2. Le risorse di cui al presente decreto sono finalizzate alla copertura dei costi di rilevanza sociale dell’assistenza socio-sanitaria e sono aggiuntive rispetto alle risorse già destinate alle prestazioni e ai servizi a favore delle persone non autosufficienti da parte delle Regioni, nonché da parte delle autonomie locali. Le prestazioni e i servizi di cui al comma precedente non sono sostitutivi, ma aggiuntivi e complementari, a quelli sanitari.»
Allegato 3 – L’integrazione socio-sanitaria
Il presente Piano richiama integralmente le modalità di integrazione socio-sanitaria, come definite dall’articolo 4 del DM 26 settembre 2016, di seguito riportato:
«1. Al fine di facilitare attività sociosanitarie assistenziali integrate ed anche ai fini della razionalizzazione della spesa, le Regioni si impegnano a:
a) prevedere o rafforzare, ai fini della massima semplificazione degli aspetti procedurali, punti unici di accesso alle prestazioni e ai servizi localizzati negli ambiti territoriali di cui alla lettera d), da parte di Aziende Sanitarie e Comuni, così da agevolare e semplificare l’informazione e l’accesso ai servizi sociosanitari;
b) attivare o rafforzare modalità di presa in carico della persona non autosufficiente attraverso un piano personalizzato di assistenza, che integri le diverse componenti sanitaria, sociosanitaria e sociale in modo da assicurare la continuità assistenziale, superando la frammentazione tra le prestazioni erogate dai servizi sociali e quelle erogate dai servizi sanitari di cui la persona non autosufficiente ha bisogno e favorendo la prevenzione e il mantenimento di condizioni di autonomia, anche attraverso l’uso di nuove tecnologie;
c) implementare modalità di valutazione della non autosufficienza attraverso unità multiprofessionali UVM, in cui siano presenti le componenti clinica e sociale, utilizzando le scale già in essere presso le Regioni, tenendo anche conto, ai fini della valutazione bio-psico-sociale, nella prospettiva della classificazione ICF, delle condizioni di bisogno, della situazione economica e dei supporti fornibili dalla famiglia o da chi ne fa le veci.
d) adottare ambiti territoriali di programmazione omogenei per il comparto sanitario e sociale, prevedendo che gli ambiti sociali intercomunali di cui all’articolo 8 della legge 8 novembre 2000, n. 328, trovino coincidenza per le attività di programmazione ed erogazione integrata degli interventi con le delimitazioni territoriali dei distretti sanitari;
e) formulare indirizzi, dandone comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero della salute, ferme restando le disponibilità specifiche dei finanziamenti sanitario, sociosanitario e sociale, per la ricomposizione delle prestazioni e delle erogazioni, in un contesto di massima flessibilità delle risposte, adattata anche alle esigenze del nucleo familiare della persona non autosufficiente (es.: budget di cura).» 23

Marina Mercurio
Segretario Associazione Viva La Vita Onlus Sardegna

giovedì 14 novembre 2019

7 mesi fa Flavio Farris-malato di Sla- dopo 3 anni di RSA -è ritornato a casa -ed è rifiorito- Emilia Romagna-








Il coraggio del malato di Sla Flavio torna a casa dopo 3 anni

Tra i primi casi in Italia: ha lasciato la struttura assistenziale per sfidare la malattia L’amministratrice: «Serve più tutela, la sua determinazione aiuterà tanta gente»

FINALE. Da otto anni combatte una battaglia impari da cui difficilmente uscirà vincitore. Ma Flavio Farris ha scelto di lottare con dignità contro la maledetta Sla e questa volta ha vinto lui. Non potrà mai guarire ma almeno si è tolto la soddisfazione di tornare nella sua Finale dopo tre anni trascorsi in una residenza socio-assistenziale. Si tratta di uno dei primi casi in Italia che vedono un paziente malato di Sclerosi laterale amiotrofica fare un percorso inverso. A coordinare il suo rientro c’è stata una encomiabile collaborazione tra Marina Mercurio, la sua amministratrice di sostegno e i Servizi sociali del Comune.

«È stato un vero miracolo riportare a casa un malato così complesso, solitamente da una Rsa - spiega Mercurio - non se ne esce se non da morti mentre Flavio è uno dei pochissimi o forse l’unico che senza nessuna rete familiare è riuscito ad uscire vivo e ritornare a casa in una regione, l’Emilia Romagna, e non in Sardegna dove i malati gravissimi sono tutelati e ben assistiti dal virtuoso “progetto ritornare a casa”. La Regione Emilia Romagna è comunque una delle più virtuose in tema di non autosufficienza, un rientro a casa di malati così complessi in Lombardia, per esempio, non sarebbe stato possibile».

«Flavio non è un uomo felice - si spiega - perché la Sla non glielo permette nemmeno per un istante. Però pretende di essere sereno e fare una vita indipendente a casa sua, trascorrendola in modo dignitoso. La strada del suo adattamento sarà comunque lunga perché il letto non è quello che un malato di Sla può permettersi a domicilio, mentre nella residenza era adatto alle sue esigenze, l’assistenza c’è ma non sempre le persone sono ben formate, tanti materiali di consumo tipo le garze sterili vengono date con il conta gocce e sono molto costose da acquistare, così come tante altre medicine».
Eppure Flavio non demorde, seguito dalle assistenti domiciliari ha trovato un fedele amico: la sua gattina Gobbo che con lui ha trascorso gli ultimi anni. Ha attraversato le operazioni del suo padrone che, nell’arco di 4 anni, per continuare a respirare e a mangiare si è sottoposto a due interventi invasivi quali la tracheotomia e la gastrostomia; i lutti familiari e anche le scosse del terremoto emiliano. E così Gobbo adesso scodinzola per casa, mentre Flavio continua ad interagire con l’esterno attraverso un computer, impotente di fronte invece al suo corpo che ormai non reagisce più ad alcuna sollecitazione.

«Ma non tornerà mai più in una struttura assistenziale nè si dividerà dalla sua cara gatta Gobbo - aggiunge l’amministratrice di sostegno - Ha detto che si lascerà morire se un domani non dovesse essere più supportato come si deve dalle istituzioni o semmai da un Governo che non adeguerà in modo soddisfacente le risorse del fondo non autosufficienza senza permettere una buona assistenza al proprio domicilio perché ancora oggi, tante famiglie sono costrette al ricovero dei propri cari negli ospizi senza avere la possibilità di poter scegliere se a casa o in struttura».

Negli anni passati Finale si era mobilitata con alcune raccolte di fondi per aiutarlo anche perché, prima della malattia, Flavio era sempre sulla piazza. Ora è stato aperto un conto corrente per sostenere la sua assistenza e permettergli, contro tutto, di restare in una casa a Finale dove ha trascorso la sua vita. L’Iban dedicato per eventuali donazioni è IT96J0760112900000089939862 intestato a Farris F. —
F.D.
https://www.facebook.com/groups/367231057183278/?ref=bookmarks